Nel Santuario Pelagos convivono due realtà strettamente legate al mare: da un lato la presenza stabile di diverse specie di cetacei, dall’altro le attività di pesca, sia artigianali che industriali, che da secoli rappresentano una risorsa economica per le comunità costiere.

Tale convivenza, tuttavia, è tutt’altro che semplice. Le interazioni tra cetacei e pesca pongono sfide complesse, che vanno dai rischi di catture accidentali e disturbi acustici, fino al degrado degli habitat causato dalla presenza di attrezzi da pesca abbandonati.

Per fare luce su queste dinamiche e valutare gli impatti delle attività di pesca sui cetacei, l’Accordo Pelagos ha promosso una consulenza scientifica, affidata a un gruppo di esperti dell’Università di Genova: Cecilia Pinto, Luca Lanteri, Fulvio Garibaldi, Federico Vignati, Giovanni Roppo Valente coadiuvati da David Gamba della federazione monegasca pesca sportiva.

 

Stato dell’arte

L’obiettivo dello studio è stato chiaro: fotografare lo stato dell’arte sulle interazioni tra pesca e cetacei nel Santuario Pelagos. L’analisi ha riguardato:

  • gli impatti diretti, come le catture accidentali (bycatch) o le ferite causate dagli attrezzi;
  • gli effetti indiretti, come il disturbo acustico o la diminuzione delle prede;
  • l’uso di attrezzi da pesca abbandonati o persi (ALDFG), che possono danneggiare gli ecosistemi marini;
  • lo stato delle popolazioni ittiche che costituiscono la dieta dei cetacei;
  • le interazioni con una specie chiave, il tursiope, molto presente in aree costiere.

 

Cosa è emerso dal progetto

Attrezzi da pesca abbandonati (ALDFG)
Tra i principali fattori di rischio individuati ci sono gli attrezzi da pesca abbandonati, noti come ALDFG (Abandoned, Lost or otherwise Discarded Fishing Gear). In aree come i seamount Ulisse e Penelope, fino al 94% dei rifiuti marini osservati era costituito da reti, cavi e lenze, soprattutto di origine artigianale. Anche se non sono stati documentati casi diretti di intrappolamento di cetacei in queste attrezzature nel Santuario, il potenziale impatto su habitat e fauna è elevato e ben documentato altrove. La gestione di questi rifiuti è resa complicata dalla difficoltà di localizzarli e dalla mancanza di protocolli condivisi per il monitoraggio e la rimozione.

Mappa delle reti da pesca abbandonate individuate dal progetto GHOST MED (2022).

 

Sforzo di pesca e aree a rischio
Nel Santuario Pelagos operano oltre 1.700 imbarcazioni da pesca professionale, distribuite in 14 distretti marittimi. Le tecniche più diffuse – reti da posta, palangari e strascico – sono anche quelle con maggiore impatto sugli ecosistemi. I dati raccolti mostrano come lo sforzo di pesca vari nel tempo e nello spazio, con picchi stagionali legati soprattutto all’estate. L’analisi ha evidenziato un uso crescente di attrezzi passivi (come palangari e reti fisse), spesso associati alla piccola pesca artigianale, che rappresenta una fetta consistente della flotta.

Anche la pesca ricreativa è diffusa, sebbene resti difficilmente quantificabile. Le stime parlano di centinaia di migliaia di pescatori solo in Italia, con tecniche e sforzi molto variabili. Sebbene il suo impatto non sia ancora ben misurato, può contribuire alla pressione complessiva sugli stock ittici e sulle specie bersaglio dei cetacei.

Confronto tra lo sforzo dei pescherecci a strascico (in ore di pesca) dal dataset GFW (nero) e le tracce di pesca dei pescherecci con palangari nel Santuario Pelagos nel 2020. Le linee rosse identificano i confini indicativi del Santuario Pelagos.

 

Prede e sovrasfruttamento
Molte delle specie ittiche di cui si nutrono i cetacei – come il nasello (Merluccius merluccius) o il gambero rosso (Aristeus antennatus) – risultano sovrasfruttate secondo gli ultimi dati del GFCM (General Fisheries Commission for the Mediterranean) e della Commissione Europea. Questa condizione può portare a una competizione crescente tra cetacei e attività di pesca, riducendo la disponibilità di prede e alterando gli equilibri trofici.

Tursiopi e pesca artigianale
Il tursiope (Tursiops truncatus) è la specie che più frequentemente entra in contatto con le attività di pesca costiera. Nel Santuario Pelagos è comune in acque poco profonde, dove spesso si avvicina agli attrezzi da pesca per nutrirsi del pescato. Queste interazioni, tuttavia, possono avere esiti gravi: danni alle reti, ingestione accidentale di ami o plastica, ferite e, in alcuni casi, la morte dell’animale.

Dati raccolti in Liguria, Sardegna e Corsica mostrano che circa il 6% degli esemplari spiaggiati presenta segni evidenti di interazione con attrezzi da pesca. Le osservazioni raccolte nel contesto del progetti europei e da reti di monitoraggio locali, confermano l’elevata frequenza e l’impatto economico di queste interazioni per la piccola pesca.

 

Mappa degli spiaggiamenti di T. truncatus lungo la costa mediterranea francese (www.observatoire-pelagis.cnrs.fr). 

 

Verso una gestione più sostenibile

Sulla base delle evidenze raccolte, la consulenza scientifica ha individuato alcune azioni prioritarie per migliorare la convivenza tra pesca e cetacei:

  • rafforzare il monitoraggio delle interazioni e la raccolta dati, in modo coordinato tra Italia, Francia e Monaco;
  • promuovere attrezzi a basso impatto e l’uso di tecnologie dissuasive sicure per la fauna marina;
  • coinvolgere direttamente i pescatori attraverso formazione e sensibilizzazione, valorizzando anche il loro ruolo attivo nella conservazione;
  • integrare la tutela dei cetacei nelle politiche di pesca sostenibile e nelle strategie locali.

 

Un passo concreto per la conservazione

Questo lavoro rappresenta un primo passo concreto verso una gestione integrata e sostenibile delle attività di pesca nel Santuario. Monitorare, comprendere e agire in modo condiviso è essenziale per garantire un futuro in cui cetacei e comunità costiere possano convivere in equilibrio. La sfida è complessa, ma le conoscenze oggi disponibili permettono di intraprendere scelte più consapevoli, orientate a tutelare un patrimonio naturale unico e le persone che da esso dipendono.

 

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