Tra le minacce più pervasive, ma spesso sottovalutate, vi è l’inquinamento chimico e biologico: un problema diffuso, che interessa le acque, i sedimenti, gli organismi marini e gli stessi cetacei, esponendoli a rischi diretti e indiretti.

Per fare chiarezza sull’estensione di questa minaccia, l’Accordo Pelagos ha avviato  una consulenza scientifica specifica nell’ambito del Piano di Lavoro 2024–2025, affidandola a un team di esperti guidato dalla prof.ssa Maria Cristina Fossi (Università di Siena), dal dr. François Galgani (IFREMER) e dal dr. Matteo Baini (Università di Siena). La consulenza rappresenta la prima indagine sistematica e integrata sul tema, con l’obiettivo di valutare lo stato attuale dell’inquinamento e i rischi per le specie chiave del Santuario.

 

 

Approccio integrato all’analisi dell’inquinamento: le cinque fasi del progetto

Il progetto si è sviluppato attraverso cinque fasi operative, ciascuna pensata per costruire una visione sempre più integrata e dettagliata dell’ambiente marino, delle sue pressioni e degli impatti sui cetacei.

  1. Acquisizione dati da bibliografia (2010–2024): Sono stati estrapolati  oltre 24.000 punti-dati da pubblicazioni scientifiche, database open access come EMODNET e LitterBase, report tecnici  nazionali nell’ambito della Direttiva Quadro sulla Strategia Marina (MSFD), e progetti nazionali e internazionali rilevanti per l’area di studio. I contaminanti considerati spaziano dai metalli pesanti agli inquinanti organici persistenti (POPs), fino ai rifiuti plastici.
  2. Revisione critica: Dopo uno screening qualitativo, sono stati selezionati 23.474 punti dati affidabili ovvero aventi coordinate GPS, procedura analitica verificata, concentrazione di contaminanti comparabile, distribuiti su quattro matrici ambientali: acqua, sedimento, biota (organismi) e rifiuti marini. Questi dati hanno permesso di creare un dataset sul quale basare le elaborazioni di mappe di contaminazione delle matrici ambientali e di rischio per i mammiferi marini. .
  3. Elaborazione delle mappe di contaminazione: grazie alle coordinate geografiche associate alla concentrazione degli inquinanti presenti, è stato possibile mappare la distribuzione spaziale dei contaminanti nel Santuario. Alcuni, come gli organoclorurati (es. DDT, PCB) e i policiclici aromatici (PAHs), sono risultati particolarmente diffusi, al pari della presenza di rifiuti plastici. Il 42,5% dell’area è stata analizzata almeno per una classe di contaminanti, con maggiore copertura lungo le coste.
  4. Mappa del rischio di esposizione: Sovrapponendo le mappe di presenza di contaminanti   con quelle di distribuzione dei cetacei (ottenute dalla consulenza scientifica specifica)), è stato calcolato un Indice di Rischio di Esposizione (REI) per specie come il delfino comune, il tursiope, la balenottera comune e il capodoglio. Ciò ha permesso di valutare in modo spaziale il potenziale rischio di esposizione delle specie alle sostanze chimiche e ai rifiuti plastici.
  5. Realizzazione di un booklet divulgativo: L’ultima fase ha riguardato la sintesi e la comunicazione dei risultati attraverso la progettazione di un opuscolo informativo, intitolato “Anthropogenic Pollutants in the Pelagos Sanctuary”, finalizzato a supportare la diffusione e il coinvolgimento degli stakeholder.

 

I risultati: uno scenario a luci e ombre

L’analisi ha permesso di classificare le aree del Santuario secondo il livello di contaminazione, utilizzando la metodologia europea CHASE+ (Chemical Status Assessment Tool). Oltre il 70% delle acque risulta in condizioni buone, ma emergono criticità in alcune zone costiere, come l’Arcipelago Toscano. Nei sedimenti, il 41% delle aree mostra contaminazione moderata, segnalando rischi a lungo termine. Anche se i livelli nei biota sono spesso sotto le soglie di allarme, si registrano alcune aree critiche. La situazione più preoccupante riguarda i rifiuti marini: oltre l’85% delle aree analizzate è classificata come problematica, con micro e macroplastiche molto diffuse.

La contaminazione non è confinata solo alle aree costiere o industriali, ma si distribuisce in modo abbastanza uniforme, rivelando una pressione diffusa che richiede un approccio gestionale integrato, esteso anche alle aree pelagiche.

 

Un rischio concreto per i cetacei

Utilizzando l’indice REI (Risk Exposure Index), lo studio ha messo in evidenza che la stenella striata (Stenella coeruleoalba) e il tursiope (Tursiops truncatus) sono le specie più esposte, per via della loro distribuzione in zone costiere e superficiali, più prossime alle fonti di inquinamento antropogenico..

Il capodoglio (Physeter macrocephalus) e la balenottera comune (Balaenoptera physalus) sembrano invece meno esposti, ma questo potrebbe dipendere anche dalla scarsa disponibilità di dati in aree pelagiche, dove queste specie si concentrano. Sono dunque necessari ulteriori sforzi per colmare queste lacune e ottenere un quadro più completo.

I risultati ottenuti costituiscono un punto di partenza essenziale per una gestione del Santuario basata su evidenze scientifiche. Lo studio rappresenta la prima valutazione combinata tra contaminazione ambientale e distribuzione dei cetacei, ed è stato possibile solo grazie all’approccio collaborativo tra i consulenti promosso dall’Accordo Pelagos. Inoltre, il progetto ha evidenziato l’urgenza di definire soglie di riferimento per numerosi contaminanti emergenti, oggi ancora privi di standard normativi. Senza questi limiti, è difficile stabilire se e quanto una sostanza sia pericolosa per l’ecosistema marino.

 

Dalle raccomandazioni all’azione: uno sguardo al futuro

Il team di consulenti ha elaborato una serie di raccomandazioni strategiche per rafforzare la protezione del Santuario: è fondamentale potenziare il monitoraggio ambientale e biologico, soprattutto nelle aree ancora poco indagate, come le zone al largo, e mantenere una sorveglianza a lungo termine per comprendere l’evoluzione dell’inquinamento e i suoi effetti sui cetacei.

Altrettanto importante è favorire lo scambio di dati tra istituzioni e Paesi firmatari dell’Accordo, costruendo banche dati condivise e aggiornate, e integrare queste informazioni nelle strategie di gestione e pianificazione spaziale marina, dando priorità alle aree più a rischio.

 

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